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Mia cara amica, Lei non è contenta: dice che la mia lettera è troppo personale, mentre Lei mi vorrebbe oggettivo; credevo di esserlo stato! Continua a leggere »
17 dicembre
Dall’inizio di marzo e ancora adesso a dicembre – come se fosse un’immagine-polmone, un modo per rifiatare – continuo a guardare il video di Lotus Flower dei Radiohead, Thom Yorke in bianco e nero come un Charlie Chaplin contemporaneo che ha perso la giacca ma ha conservato la bombetta, una marionetta mobile e snodabile, sciamanica, instabile, un occhio aperto e uno chiuso, il corpo ebefrenico e poi di colpo inerte, groggy e minerale, una statuetta animata con la barba di una settimana e le braccia che brancolano ritagliando lo spazio e reinventandolo, rendendolo vitale.
Thom Yorke, penso caricando per l’ennesima volta consecutiva il video su YouTube, è molto più di un compositore-cantante: è il ricordo vivente di una selvatichezza che resta nonostante tutto smaniosa di esistere, patologia organica che si è fatta coreografia, un’iguana sottile che scorre dentro la vita rettile, il geroglifico di un corpo umano immerso nel post-umano: uno Charlot in rivolta, senza monello e senza un sentiero che si perde all’orizzonte da poter percorrere mano nella mano con Paulette Goddard, non c’è il sentiero, non c’è il finale e non c’è neanche il film, dunque a Charlot tocca stare da solo in uno spazio nero, sullo sfondo i frammenti di un hangar, non si capisce se una struttura industriale dismessa o il dietro le quinte di un teatro di lamiera, nei versi della canzone – I will shrink and I will disappear | I will slip into the groove and cut me off – un desiderio di scomparsa.
L’umano ai tempi dei Radiohead è un astronauta in maniche di camicia bianca sospeso nel nero siderale dell’amore che scompare.
[Giorgio Vasta, in Bajani, Murgia, Nori, Vasta, Presente, Torino, Einaudi, 2012, pp. 272-273]
Più di due anni fa scrissi un post (qui) sull’incredibile storia capitata a uno dei miei scrittori preferiti. Continua a leggere »
Nel romanzo, la moderna epopea borghese, […] ricompare da un lato la ricchezza e la multilateralità degli interessi, delle condizioni, dei caratteri, dei rapporti di vita, il vasto sfondo di un mondo totale ed insieme la manifestazione epica di avvenimenti. Quel che manca è però la condizione del mondo originariamente poetica da cui si origina l’epos vero e proprio. Continua a leggere »
…e i poveri ciuchini che inciampavano mezzi addormentati e gli uomini avvolti nei loro mantelli addormentati all’ombra sugli scalini e le grandi ruote dei carri dei tori e il vecchio castello vecchio di mill’anni sì e quei bei Mori tutti in bianco e turbanti come re che ti chiedevano di metterti a sedere in quei loro buchi di botteghe e Ronda con le vechcie finestre delle posadas 2 fulgidi occhi celava l’inferriata perché il suo amante baciasse le sbarre e le gragotte mezzo aperte la notte e le nacchere e la notte che perdemmo il battello ad Algesiras il sereno che faceva il suo giro con la lampada e Oh quel pauroso torrente laggiù in fondo Oh e il mare qualche volta cremisi come il fuoco e gli splendidi tramonti e i fichi nei giardini dell’Almeda sì e tutte quelle stradine curiose e le case rosa e azzurre e gialle e i roseti e i gelsomini e i gerani e i cactus e Gibilterra da ragazza dov’ero un Fior di montagna sì quando mi misi la rosa nei capelli come facevano le ragazze andaluse o ne porterò una rossa sì e come mi baciò sotto il muro moresco e io pensavo be’ lui ne vale un altro e poi gli chiesi con gli occhi di chiedere ancora sì e allora mi chiese se io volevo sì dire di sì mio fior di montagna e per prima cosa gli misi le braccia intorno sì e me lo tirai addosso in modo che mi potesse sentire il petto tutto profumato sì il suo cuore batteva come impazzito e sì dissi sì voglio Sì.
[James Joyce, Ulisse, traduzione di Giulio de Angelis, Milano, Mondadori, 1988, p. 741]
NOTA DEL REDATTORE
No, questo è troppo! Anche la prefazione soppressa dall’autore è stata invece stampata! Continua a leggere »